da Varese, le odierne peripezie ed i mille interessi di una stramba famiglia di tatuatori!

Ho sempre pensato che la mia vita è piena di gente interessante e folkloristica, di gente colorata e gente molto dark,
di occasioni speciali, di fotografie, libri e scambi di informazioni...
Vorrei queste pagine fossero un'occasione per contaminarci e sorriderci su!!!!


Se desiderate contattarmi per qualsiasi chiarimento, opinione o scambio di vedute mi trovate qua: artistichousewife@hotmail.it

sabato 13 marzo 2010

una fenice tutta d'oro!

L'altra sera il nostro Gianluck si è sparato l'ennesima tattoo session che lo porterà a completare la sua splendida fenice d'oro.
E' sempre un piacere condividere una serata con lui, ci conosciamo da tanto e tanto è l'inchiostro che è passato sotto il "nostro ponte"...

Purtroppo spero di poter fare presto delle belle foto del lavoro completo a luce naturale visto che gianluca si tatua di sera e la luce artificiale tende a virare le foto in toni caldi che poco esaltano la doratura del suo soggetto...

In ogni caso, penso che le foto la dicono tutta ;)



























FENICE

La Fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba Fenice, era un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte.
Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne la Fenice.
Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume — una rosa e una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco.
Dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/ 1468, o addirittura 12955/ 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.

Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.

Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"), dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro,

«cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra»

- peraltro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio Shu.

I cinesi hanno un gruppo di quattro creature magiche (detti "I quattro Spiritualmente-dotàti") che presiedono i destini della Cina, e rappresentano le forze primordiali degli animali piumati, corazzati, pelosi e con squame. Questi quattro animali sacri sono: Bai Hu (la tigre) o Ki-Lin (l'unicorno) per l'Ovest; Gui Xian (la tartaruga o il serpente) per il Nord; Long (il drago) per l'Est; e, per il Sud, Feng (la Fenice) — detto anche Fêng-Huang, Fung-hwang o Fum-hwang.

Rappresentava il potere e la prosperità, ed era un attributo esclusivo dell'imperatore e dell'imperatrice, che erano gli unici in tutta la Cina ad essere autorizzati a portare il simbolo del Feng. Era la personificazione delle forze primordiali dei Cieli, e talvolta veniva rappresentata con la testa e la cresta di fagiano e la coda di pavone (ma siccome i cinesi desideravano dare al Feng i più begli attributi di tutti gli animali, lo raffiguravano con la fronte della gru, il becco dell'uccello selvatico, la gola della rondine, il collo del serpente, il guscio della testuggine, le strisce del drago e la coda di un pesce).

Nel becco portava due pergamene o una scatola quadrata che conteneva i Testi Sacri, e recava iscritte nel corpo le Cinque Virtù Cardinali. Si dice inoltre che la sua canzone contenesse le cinque note della scala musicale cinese, e che la sua coda includesse i cinque colori fondamentali (blu, rosso, giallo, bianco e nero), e che il suo corpo fosse una mistura dei sei corpi celesti (la testa simboleggiava il cielo; gli occhi, il sole; la schiena, la luna; le ali, il vento; i piedi, la terra; e la coda, i pianeti).

Il Feng viene a volte dipinto con una sfera di fuoco che rappresenta il sole, ed è chiamato "l'uccello scarlatto": l'imperatore di tutti gli uccelli. Nato dal fuoco nella "Collina del Falò del Sole", vive nel Regno dei Saggi, che sta ad Est della Cina. Beve acqua purissima e si ciba di bambù. Ogni volta che canta, tutti i galli del mondo l'accompagnano nella sua canzone di cinque note. Appare soltanto in tempi di pace e prosperità, e scompare nei tempi bui. Diversamente dal Benu, il Feng può essere maschio o femmina, e vivere in coppia — coppia che rappresenta la felicità della coppia di sposi. Al concepimento, è il Feng a consegnare l'anima del nascituro nel grembo della madre.

mercoledì 10 marzo 2010

4.130 metri sul livello del mare in scarpe da skater

Finalmente abbiamo rivisto il nostro carissimo sbokko, reduce dal viaggio in thai per continuare i suoi studi di massaggio e da un inaspettato trekking sino all'Annapurna in Nepal.
L'Annapurna è un massiccio montuoso situato nel Nepal centrale e fa parte della catena dell'Himalaya. È lungo circa 55 km e la sua cima più alta, l'Annapurna I, è alta 8.091 m. È stato il primo 8.000 ad essere conquistato dall'uomo. Il suo nome, in sanscrito, significa dea dell'abbondanza. Detiene il primato del maggior rapporto tra incidenti mortali ed ascensioni alla vetta e il nostro temerario in dieci giorni di cammino ha raggiunto il campo base dal quale partono le spedizioni alla vetta.

Ovviamente il tutto con le sue coraggiose scarpe da skater ;)

a voi qualche foto selezionata dal suo numeroso reportage fotografico:





























peonie, leggende giapponesi e la nostra amata Silvia

finalmente Silvia è riuscita a esaudire il suo desiderio di avere questo bellissimo fiore tatuato da Luigi...
sabato 27 febbraio è giunta alla "sua casa" di Malnate (ehehe) da Padova per farsi tatuare e per noi è stata una gioia averla ospite e vederla tornare a casa felice e contenta...
a Lei dedico questa leggenda giapponese dai toni estremamente femminili ricordandole che, quando vuole, la nostra casa è sempre aperta!

LA PRINCIPESSA PEONIA

Molti anni or sono, a Gamogun, nella provincia di Omi, c’era un castello chiamato Adzuchi-no-shiro. Era uno splendido e antico edificio, circondato da mura e da un fossato pieno di fiori di loto. Il signore feudale era un uomo molto ricco e valoroso, e si chiamava Naizen-no-jo. Non aveva figli maschi, ma aveva una bella figlia di diciotto anni che (non si sa bene perché) aveva il titolo di principessa.
Per un lungo periodo in quelle terre aveva regnato la pace e la tranquillità; i suoi governanti erano in ottimi rapporti tra loro, e tutti erano felici. Stando così le cose, Naizen-no-jo pensò che fosse il momento buono per trovare un marito alla figlia, la principessa Aya, e qualche tempo dopo scelse il secondo figlio del signore di Ako, della provincia di Harima. Entrambi i padri furono soddisfatti, e non restava che concordare gli ultimi dettagli con i due ragazzi. Il figlio di Ako aveva visto la sposa e gli era piaciuta.
La principessa Aya, a sua volta, aveva deciso di provare ad amarlo e, anche se non lo aveva mai visto, pensava a lui e ne parlava.
Una sera la principessa, mentre stava passeggiando al chiaro di luna nello splendido giardino insieme alla sua dama di compagnia, attraversò il suo prato di peonie preferito e si diresse al laghetto in cui amava osservare il proprio riflesso nelle notti di luna piena, ascoltare le rane e guardare le lucciole.

- La principessa viene salvata da uno sconosciuto -
Mentre si avvicinava al laghetto, un piede le scivolò, e sarebbe caduta nell’acqua se un giovane non fosse apparso come per incanto e non l’avesse trattenuta. Non appena fu di nuovo saldamente in piedi, il giovane scomparve.
La dama di compagnia l’aveva vista scivolare e aveva visto un luccichio, nient’altro. Ma la principessa Aya aveva visto molto di più: aveva visto il giovane più bello che potesse immaginare.
«Ventun’anni», raccontò a O Sadayo San, l’ancella favorita, «dev’essere stato... un samurai o un nobile di altissimo rango. Aveva il vestito ricamato con le mie peonie preferite, e la spada era tempestata di pietre preziose. Ah, se si fosse trattenuto ancora qualche istante, in modo che potessi ringraziarlo per avermi salvato dall’acqua. Chi può essere? E come ha fatto a entrare nel giardino senza essere visto dalle guardie?»
Così diceva la principessa all’ancella, raccomandandosi di non farne parola con nessuno, nel timore che il padre potesse venirlo a sapere, trovasse il giovane e lo facesse mettere a morte per punirlo dell’oltraggio.
Dopo quella sera la principessa Aya si ammalò. Non riusciva più a mangiare né a dormire, e diventò sempre più pallida. Il giorno del matrimonio con il giovane figlio di Ako arrivò e passò senza che la cerimonia avesse luogo: la principessa era troppo malata. Da Kyoto erano stati fatti venire i migliori medici della capitale, ma nessuno di loro fu in grado di fare qualcosa, e la ragazza diventava ogni giorno più esile.
Come estrema risorsa il padre, Naizen-no-jo, fece chiamare l’ancella che era in più stretta confidenza e amicizia con la figlia, O Sadayo, e le chiese se poteva fornire un motivo per la misteriosa malattia della principessa. Forse aveva un amante segreto? Oppure nutriva una particolare avversione per il promesso sposo?
«Mio signore», disse O Sadayo, «non amo rivelare i segreti, ma in questo caso ritengo sia mio dovere farlo per il bene della figlia di vostra signoria. Circa tre settimane fa, in una notte di luna piena, stavamo passeggiando nel campo di peonie e ci stavamo dirigendo verso quel laghetto presso cui la principessa ama trattenersi. Lei inciampò ed era sul punto di cadere in acqua, quando è successa una cosa strana. Improvvisamente un bellissimo giovane samurai è apparso e l’ha sorretta, evitando così che cadesse in acqua. Io ho potuto vedere solo un luccichio, ma vostra figlia lo ha visto molto bene. Prima che potesse ringraziarlo, era scomparso. Nessuna di noi due riesce a capire come sia stato possibile per un uomo penetrare nel giardino della principessa, perché i cancelli del palazzo sono sorvegliati da ogni lato, e il giardino della principessa è il luogo più sorvegliato, tanto che sembra veramente incredibile che un uomo possa entrarvi. Mi è stato imposto di non dire nulla per paura dell’ira di vostra signoria, ma è dopo quella sera, mio signore, che la nostra beneamata principessa Aya si è ammalata. È malata d’amore. È perdutamente innamorata del giovane samurai che ha visto solo per quel breve istante. Davvero, mio signore, non aveva mai visto prima un uomo così bello in tutto il mondo, e se non riusciamo a trovarlo, ho paura che la principessa morirà».
«Come può un uomo entrare nella mia proprietà?» si chiese Naizen-no-jo. «La gente afferma che volpi e tassi a volte assumono l’aspetto di uomini, ma anche così quegli esseri soprannaturali non potrebbero entrare nei terreni che circondano il mio castello, con tutti gli ingressi strettamente sorvegliati».
Quella sera la povera principessa era più infelice che mai. Nella speranza di risollevarle un poco il morale, le ancelle mandarono a chiamare un famoso suonatore di biwa di nome Yashaskita Kengyo. Dal momento che la serata era calda, sedettero nell’engawa [portico], e mentre il musico stava eseguendo Dan-no-ura, la storia della grande battaglia navale, ecco apparire da dietro le peonie quel bellissimo giovane samurai. Questa volta tutti potevano vederlo, e vedevano anche le peonie ricamate sul suo abito.
«È lui! È lui!» gridarono. A quel grido, il giovane scomparve immediatamente. La principessa era eccitatissima e sembrava più vivace di quanto non lo fosse state per giorni. Il vecchio Daimio fu molto sconcertato quando udì quello che era accaduto.
La sera successiva, mentre due delle ancelle stavano suonando per la padrona – O Yae San il flauto e O Yakumo San il koto – la figura del giovane riapparve. Durante la giornata era stata fatta un’accurata ricerca negli immensi campi di peonie senza ottenere il minimo risultato. Non era stata trovata nemmeno un’impronta, e la cosa era veramente sconcertante.
Si tenne consiglio, e il signore del palazzo decise di convocare un ufficiale veterano molto famoso e di grande forza, Maki Hiogo, perché catturasse il giovane se fosse ricomparso anche quella sera. Maki Hiogo accettò prontamente e, al momento stabilito, vestito di nero in modo da essere invisibile, si nascose tra le peonie.
La musica sembrava incantare il giovane samurai. Era apparso sempre mentre si stava suonando della musica. Quindi O Yae e O Yakumo ripresero il loro concerto mentre tutti guardavano verso il tappeto di peonie. Tutte le donne stavano eseguendo un pezzo intitolato Sofuren, quando apparve la figura di un giovane samurai splendidamente vestito con abiti coperti da un ricamo fatto di peonie.
Tutti lo guardavano e si meravigliavano che Maki Hiogo non uscisse dal suo nascondiglio per catturarlo. Ma il fatto è che Maki Hiogo era così stupefatto dal nobile aspetto del giovane che in un primo momento non osò toccarlo. Tornato in sé e pensando al suo dovere verso il signore, si avvicinò furtivamente al giovane e, afferrandolo alla vita, lo tenne ben stretto. Pochi secondi dopo Maki Hiogo avvertì una specie di vapore umido colargli sul volto, si sentì mancare a poco a poco e cadde a terra, immaginando di stringere ancora il giovane samurai che avrebbe dovuto catturare.
Tutti avevano visto la zuffa, e alcune guardie accorsero sul posto. Non appena vi giunsero, Maki Hiogo riprese i sensi e gridò:
«Venite, gente! L’ho preso! Venite a vedere!»
Ma quando guardò cosa stringeva tra le braccia, scoprì che non era altro che una grossa peonia!
Nel frattempo anche Naizen-no-jo era arrivato sul luogo in cui si trovava Maki Hiogo, e così pure la principessa Aya e le sue dame.
Tutti furono sbalorditi e confusi, tranne il Daimio che disse:
«È proprio come pensavo. Spiriti in forma di volpe o di tasso non riuscirebbero a eludere la sorveglianza delle guardie e a penetrare in questo giardino. È lo spirito della peonia che ha preso la forma di un principe».
«Devi prenderlo come un segno di rispetto», disse rivolgendosi alla figlia, «e onorare grandemente la peonia e prenderti cura di quella afferrata da Maki Hiogo come prendi cura di te stessa».
La principessa Aya portò il fiore con sé nella sua stanza, lo mise in un vaso pieno d’acqua e lo collocò accanto al cuscino. Aveva la sensazione di avere vicino il suo innamorato. Un giorno dopo l’altro la sua salute migliorò. Si prendeva cura personalmente della peonia e, strano a dirsi, invece di appassire il fiore sembrava acquistare sempre più energia. Infine la principessa guarì. La sua bellezza diventò come un raggio di sole, mentre la peonia continuava a essere in piena fioritura.
Poiché ormai la principessa Aya era in perfetta salute, suo padre non poteva rimandare ulteriormente le nozze. Perciò qualche giorno dopo il signore di Ako arrivò a palazzo con la famiglia, e anche il suo secondo figlio si sposò.
Non appena la cerimonia ebbe termine, la peonia fu trovata ancora nel vaso, ma morta e avvizzita. Dopo allora la gente del villaggio, anziché parlare di Aya Hime ossia Principessa Aya, parlò di Botan Hime ossia Principessa Peonia.

Un bacione enorme cara Silvia!












body verificava che tutto andasse bene! hihihi



















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