da Varese, le odierne peripezie ed i mille interessi di una stramba famiglia di tatuatori!

Ho sempre pensato che la mia vita è piena di gente interessante e folkloristica, di gente colorata e gente molto dark,
di occasioni speciali, di fotografie, libri e scambi di informazioni...
Vorrei queste pagine fossero un'occasione per contaminarci e sorriderci su!!!!


Se desiderate contattarmi per qualsiasi chiarimento, opinione o scambio di vedute mi trovate qua: artistichousewife@hotmail.it

lunedì 11 ottobre 2010

Stefano e la via del samurai

Nuova bracciata per la famiglia e oggi vi presento Stefano e la sua armsuites a tre quarti!
Per l'esterno ha scelto un demone in armatura da samurai e per l'interno una splendida peonia.
Questa è la sua seconda seduta, lui è felice e noi con lui. :)

Guardate un pò....

















SAMURAI
Il samurai era un militare del Giappone feudale, appartenente ad una delle due caste aristocratiche giapponesi, quella dei guerrieri.
Il nome deriva sicuramente da un verbo, saburau, che significa servire o tenersi a lato e letteralmente significa colui che serve.
Un termine più appropriato sarebbe bushi (letteralmente: guerriero), che risale al periodo Edo. Attualmente il termine viene usato per indicare proprio la nobiltà guerriera (non, ad esempio, gli ashigaru o i fanti, né i kuge o aristocratici di corte).
I samurai che non servivano un daimyō perché era morto o perché ne avevano perso il favore, erano chiamati rōnin.
I samurai costituivano una casta colta, che oltre alle arti marziali, direttamente connesse con la loro professione, praticava arti zen come il cha no yu o lo shodō.
Durante l'era Tokugawa persero gradualmente la loro funzione militare divenendo dei semplici Rōnin che spesso si abbandonavano a saccheggi e barbarie.
Verso la fine del periodo Edo, i samurai erano essenzialmente designati come i burocrati al servizio dello shōgun o di un daimyo, e la loro spada veniva usata soltanto per scopi cerimoniali, per sottolineare la loro appartenenza di casta.
I samurai usavano una grande varietà di armi.
Nel periodo Tokugawa si diffuse l'idea che l'anima di un samurai risiedesse nella katana che porta con sé, a seguito dell'influenza dello Zen sul bujutsu; a volte i samurai vengono descritti come se dipendessero esclusivamente dalla spada per combattere.
Raggiunti i tredici anni, in una cerimonia chiamata Genpuku, ai ragazzi della classe militare veniva dato un wakizashi e un nome da adulto, per diventare così vassalli, cioè samurai a tutti gli effetti.
Questo dava loro il diritto di portare una katana, sebbene venisse spesso assicurata e chiusa con dei lacci per evitare sfoderamenti immotivati o accidentali. Insieme, katana e wakizashi vengono chiamati daisho (letteralmente: "grande e piccolo") ed il loro possesso era la prerogativa del buke.
Portare le armi venne vietato nel 1523 dallo Shogun per evitare rivolte armate perché prima della riforma tutti potevano diventare samurai.

Seppuku è un termine giapponese che indica un rituale per il suicidio in uso tra i samurai.
In Occidente viene usata più spesso la parola harakiri, a volte in italiano erroneamente pronunciato come karakiri, con pronuncia e scrittura errata dell'ideogramma hara. Nello specifico, però, seppuku e harakiri presentano alcune differenze, qui di seguito spiegate.
La traduzione letterale del termine Seppuku è "taglio dello stomaco", mentre per Harakiri è "taglio del ventre" e veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente codificato, come espiazione di una colpa commessa o come mezzo per sfuggire ad una morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede dell'anima, e pertanto il significato simbolico era quello di mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua purezza.
Alcune volte praticato volontariamente per svariati motivi, durante il periodo Edo (1603 – 1867), divenne una condanna a morte che non comportava disonore. Infatti il condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva giustiziato ma invitato o costretto a togliersi da solo la vita praticandosi con un pugnale una ferita profonda all'addome di una gravità tale da provocarne la morte.
Il taglio doveva essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l'alto. La posizione doveva essere quella classica giapponese detta seiza cioè in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro; ciò aveva anche la funzione d'impedire che il corpo cadesse all'indietro, infatti il guerriero doveva morire sempre cadendo onorevolmente in avanti. Per preservare ancora di più l'onore del samurai, un fidato compagno, chiamato kaishakunin, previa promessa all'amico, decapitava il samurai appena egli si era inferto la ferita all'addome, per fare in modo che il dolore non gli sfigurasse il volto.
La decapitazione (kaishaku) richiedeva eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più abile nel maneggio della spada. Un errore derivante da poca abilità o emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze. Proprio l'intervento del kaishakunin e la conseguente decapitazione costituiscono la differenza essenziale tra seppuku e hara-kiri: sebbene le modalità di taglio del ventre siano analoghe, nello hara-kiri non è prevista la decapitazione del suicida, e pertanto viene a mancare tutta la relativa parte del rituale, con conseguente minore solennità dell'evento.

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